Fu eretto nel 1674 da Gaspare Lecciso per eseguire la volontà dello zio, l’abate Gian Giacomo Lecciso, canonico tesoriere della Cattedrale, che, con testamento rogato per notaio Gervasi di Lecce, il 5 gennaio 1661 dispose la costruzione dell’altare e di una memoria epigrafica in ricordo di Mons. Scipione Spina, vescovo di Lecce dal 1591 al 1639. Così ci dicono le epigrafi nei due monumenti posti a destra e sinistra della cappella ed attribuiti alla mano di Giuseppe Cino.

L’altare, assegnato a Giuseppe Zimbalo, è inquadrato come il precedente da una coppia di colonne per lato, questa volta a fusto rotondo, rastremate e finemente operate. L’occhio attento vi noterà una selva lussureggiante di fiori e testine d’angelo oltre alle ghirlande con uccelli che cingono il fusto delle colonne al primo terzo inferiore. Più in alto basamenti orizzontali per le cornici rabescate con bassorilievi di celesti aurighe, timpani a lunetta in corrispondenza delle due coppie di colonne su cui si ergono due angeli per parte con il giglio (simbolo della purezza del santo titolare dell’altare) ed al centro una tela del XVIII secolo raffigurante S. Maria Maddalena penitente sormontata dal solito basamento che sostiene due volute interrotte e la croce centrale.

Meritevoli di essere menzionati sono gli otto altorilievi contenuti nelle formelle degli intercolumni che rappresentano episodi della vita di S. Antonio: a sinistra, partendo da sopra, S. Antonio che fa ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, S. Antonio che guarisce uno storpio, S. Antonio che riattacca il piede reciso ad un giovane, S. Antonio che costringe una mula ad inginocchiarsi davanti all’Eucaristia; a destra, dall’alto verso il basso, S. Antonio che predica ai pesci, S. Antonio che dà il pane ad un povero, S. Antonio che predica contro gli eretici, S. Antonio che ottiene che un debitore insolvente ma senza colpa non venga incarcerato.

Fregi e rabeschi rifiniscono basamenti e specchiature dell’altare in basso in corrispondenza dall’altare marmoreo che insieme agli altri marmi del pavimento e delle pareti fu voluto nel 1938 dal can. Giuseppe Guido per abbellire la cappella secondo la moda del tempo.

Tutto questo per dare rilievo alla seicentesca statua di legno dorato del santo patavino accolta nella nicchia del dossale, arricchita da stelle e fiori e da una conchiglia al sommo. Su di essa, tra due angeli che reggono come uno scudetto, si legge l’incipit del responsorio scritto da fra Giuliano da Spira in onore di S. Antonio: Si quaeris miracula (Se chiedi miracoli).

La balaustra in marmo di questa cappella (come anche quella dell’Addolorata e agli ingressi della Cripta) proviene dalla Basilica di S. Croce, che nel 1807 con la soppressione dei Celestini conobbe uno spaventoso stato di abbandono e il trasferimento di altari e balaustre.