La Cripta o Soccorpo della Cattedrale è dedicata alla Vergine con l’appellativo di “Santa Maria della Scala”.

Le notizie più antiche, ricavate dagli scarni documenti disponibili, risalgono alla Santa Visita effettuata dal vescovo Braccio Martelli il 13 ottobre del 1555 (Biblioteca Provinciale di Lecce, Ms. n. 22). Da tale testimonianza risulta che nella “Cripta o Confessione” già esistevano – circa un secolo prima della ricostruzione del Duomo nel 1659 – i seguenti altari o cappelle: l’altare maggiore in fondo alla navata principale dedicato a Santa Maria della Scala, la cappella dei Prioli che aveva a destra quella “del monumento” e a sinistra quella di Gerolamo Cerasino, ed infine la cappella di Lucia Paduano di Acaia.

Per quanto riguarda la data di costruzione, la Cripta è stata sicuramente ricostruita agli inizi del Cinquecento per volontà di potenti famiglie mercantili provenienti dal centro e dal nord Italia quali i Prioli e i Cerasini, che fecero innalzare nel Soccorpo il proprio altare. Ciò avvenne presumibilmente a partire dal 1517 anno di costruzione della tributa dell’altare maggiore della Cattedrale, mantenendo l’impianto della preesistente cripta normanna, della quale si conserva la struttura e la cui edificazione risale al tempo del vescovo Roberto Voltorico.

La tradizione locale vuole che nella Cripta siano state sepolte le reliquie dei santi Oronzo, Giusto e Fortunato, patroni di Lecce. Tuttavia, nonostante diverse esplorazioni eseguite in diverse epoche, esse non sono mai state ritrovate.

Dal Paladini veniamo a sapere che, in merito agli interventi in periodo Barocco, “furono aggiunti, senza criterio artistico, altari o cappelle, deturpando lo stile architettonico della chiesa”.

Al restauro così a lungo atteso ed auspicato, si è dato finalmente corso in occasione del XV Congresso Eucaristico Nazionale tenutosi in Lecce dal 29 aprile al 6 maggio del 1956, quando per la Cripta del Duomo sono iniziati su commissione del vescovo Francesco Minerva quei lavori che “la hanno restituita al suo nativo splendore” (Paladini, 1956).

In quella occasione furono rimossi la maggior parte degli altari laterali e quello maggiore, marmoreo, dedicato alla Madonna della Scala, conferendo all’interno la disposizione di arredi che possiamo osservare oggi.